L'indice glicemico (IG) di un alimento,
definito come l'area sotto la curva (AUC) della glicemia
conseguente al consumo di 50 o 75 grammi di carboidrati
disponibili dell’alimento stesso, messa a confronto con l'area sottostante la curva della glicemia dovuta a 50 o 75 gr di glucosio = 100,
si è imposto nella più recente letteratura nutrizionale come un indicatore
interessante degli effetti metabolici di singoli
componenti dell'alimentazione.
Numerosi dati recenti
suggeriscono infatti che i cibi con basso IG abbiano un
più favorevole effetto sulla salute, e particolarmente
sul rischio di sviluppare malattie metaboliche (come il
diabete) o cardiovascolari (come l’infarto miocardico),
rispetto ai cibi con IG più elevato. In particolare, un
elevato IG (che implica, di fatto, un più consistente
aumento della glicemia dopo il consumo dell'alimento
considerato) induce una marcata risposta insulinica,
l’utilizzazione metabolica preferenziale degli zuccheri
a scapito dei grassi, e spesso una caduta rapida della
glicemia (conseguente alla risposta insulinica), con la
conseguente ricomparsa del senso di fame, che tende a
perpetuare questo circolo vizioso.
Un'alimentazione ad elevato IG medio aumenta pertanto
la probabilità di comparsa di sovrappeso o obesità, di
alterazioni del metabolismo lipidico, di intolleranza
glicidica e, in ultima analisi, di malattie
cardiovascolari. Anche alcuni indici di infiammazione
cronica, come la proteina C reattiva (PCR), il cui
livello plasmatico correla positivamente con il rischio
cardiovascolare, sono aumentati nei soggetti che
consumano un’alimentazione ad elevato carico glicemico.