I dati emersi della ricerca scientifica
nutrizionale hanno dimostrato chiaramente, negli ultimi
anni, che la dieta e i suoi componenti sono in grado di
influenzare lo stato di salute, modulando favorevolmente
o sfavorevolmente molti aspetti della fisiologia (e cioè
del funzionamento) del nostro organismo. E' importante
quindi conoscere non solo la composizione dei cibi per
introdurli nella dieta in modo corretto, a seconda
dell'età, dello stile di vita e dello stato di salute,
ma anche gli effetti che i diversi componenti producono
nel nostro corpo.
L’attenzione degli esperti, che prima era quindi rivolta
soprattutto al contenuto calorico degli alimenti, alla
loro composizione in termini di carboidrati, grassi e
proteine, ed all’assenza di sostanze tossiche o di
contaminazione batterica, si è quindi spostata sugli
effetti di tipo “funzionale” dei diversi nutrienti.
Per quanto riguarda i carboidrati (spesso noti anche
come “zuccheri”) della dieta, fino ad alcuni anni fa ci
si basava soprattutto sulla distinzione tra “semplici” e
“complessi” per definirne il ruolo alimentare e
salutistico. Il fruttosio ed il saccarosio, o zucchero
da tavola, sono per esempio definiti zuccheri semplici,
mentre gli alimenti a base di amidi, costituiti da più
molecole di glucosio (uno zucchero semplice) legate fra
di loro nella forma di lunghe catene, sono definiti
zuccheri complessi.
L'indicazione a preferire alimenti contenenti
carboidrati complessi (comune nelle indicazioni
nutrizionali diffuse fino a pochi decenni orsono) era
basata sull'assunzione che il consumo degli amidi
comportasse un aumento più contenuto della glicemia (il
tasso di glucosio nel sangue) e pertanto fossero meno
dannosi per la salute.
In realtà, la glicemia risponde in modo piuttosto
variabile all'apporto di carboidrati complessi. Il pane
induce un aumento maggiore della pasta, ed entrambi un
aumento della glicemia minore di quello associato al
consumo di patate. Anche gli zuccheri semplici hanno un
effetto variabile: il consumo di fruttosio, per esempio,
(lo zucchero contenuto nella frutta) non induce un
aumento significativo della glicemia.
Attualmente, alla classificazione dei carboidrati in
“semplici” o “complessi” viene quindi preferita quella
basata sulle modificazioni della glicemia che il consumo
dei carboidrati stessi induce: che sono misurate da un
parametro noto come “indice glicemico”. Il concetto
secondo cui l'indice glicemico degli alimenti è il
parametro di maggiore interesse biologico, per quanto
riguarda i carboidrati che esso contiene, è infatti
ormai largamente accettato nel mondo nutrizionale.
L’indice glicemico infatti, descrive e misura l’effetto
di un alimento, o meglio dei carboidrati in esso
contenuti, sulla glicemia, ed è quindi un indicatore più
accurato e riproducibile della risposta glicemica, che è
ormai noto essere il parametro di maggiore interesse a
questo proposito.
L'indice glicemico di un alimento viene determinato
semplicemente misurando la glicemia a un gruppo di
volontari sani, ad intervalli di tempo costanti, nelle
due ore successive al consumo di una dose dell’alimento
in studio che contenga 50 grammi di zuccheri totali.
L’andamento della glicemia viene poi confrontato con
quello che si osserva, negli stessi soggetti, dopo il
consumo di una quantità equivalente di un alimento di
controllo (glucosio puro). Il rapporto tra le aree che
“stanno sotto” le curve della glicemia dopo assunzione
dell'alimento allo studio e dopo l’assunzione del
glucosio, espresso in percentuale, rappresenta il valore
dell’indice glicemico dell’alimento in studio.
Il rapido aumento del glucosio serico che si verifica
dopo l'assunzione di cibi ad alto indice glicemico
elevato è seguito da un'aumentata secrezione da parte
del pancreas di un ormone molto noto, l’insulina, che
facilita l’utilizzazione degli zuccheri o il loro
deposito sotto forma di grassi nell’organismo. Nel corso
delle ore successive, inoltre, l’effetto dell’insulina
può far scendere molto la glicemia, provocando
“ipoglicemia”, e stimolando quindi, tra l’altro, il
senso della fame.
Dopo l'assunzione di cibi a basso indice glicemico, al
contrario, anche a parità di apporto calorico, si
osserva un aumento più contenuto ma in genere più
prolungato della glicemia: cui consegue una minore
secrezione di insulina (e quindi un più equilibrato uso
di grassi e zuccheri a scopo energetico da parte
dell’organismo), ed una sensazione di fame meno intensa
e più ritardata.
Ancora più preciso e più indicativo dell'apporto di
zuccheri con l'alimentazione è il cosiddetto “carico
glicemico”, che riflette e tiene conto
contemporaneamente sia della qualità che della quantità
dei carboidrati forniti con un pasto o con una dieta. Il
carico glicemico viene calcolato moltiplicando la
quantità dei carboidrati assunti con i diversi alimenti,
per l’indice glicemico di ciascuno. Il carico glicemico
di 80 grammi di patate (caratterizzate da un indice
glicemico medio di 90, si veda la tabella di seguito)
sarà quindi inferiore, ad esempio, a quello di 150
grammi di spaghetti (con un indice glicemico di 38). Nel
primo caso, infatti, il carico glicemico sarà 72
(80x90/100), e la risposta glicemica dell’organismo,
quindi, sarà simile a quella che si osserverebbe dopo il
consumo di 72 grammi di glucosio, mentre nel secondo
sarà pari a 57 (150x38/100).
E’ interessante sottolineare che alcuni studi
controllati hanno dimostrato che diete a basso carico
glicemico migliorano, almeno nel breve termine, la
perdita di peso e di massa grassa rispetto a diete a
carico glicemico elevato, e che la riduzione del carico
glicemico complessivo è un utile coadiuvante nella
regolazione dell’appetito, nel mantenimento del calo
ponderale e quindi nel controllo del soprappeso. Anche
alcuni importanti parametri di rischio cardiovascolare
(come i trigliceridi ed il colesterolo “buono” HDL) e
gli indicatori dello “stato infiammatorio”
dell’organismo, collegati in modi molteplici allo stato
di salute, sono influenzati favorevolmente dal consumo
di alimenti a basso indice e carico glicemico.
Una dieta ricca di cibi ad elevato indice glicemico, al
contrario, è associata, oltre che all'aumento dei
livelli di trigliceridi circolanti e alla riduzione del
colesterolo-HDL (colesterolo “buono”), ad una maggior
rischio di ammalare di diabete di tipo 2 (per
l'eccessiva secrezione di insulina e la conseguente
perdita funzionale di cellule pancreatiche che il loro
consumo induce).
Indice glicemico (IG) di alcuni alimenti, relativo al glucosio |
ALIMENTI |
IG |
|
|
Pomodori
Ciliegie
Fagioli
Mele
Pasta (spaghetti)
Succo di mela
Miele
Succo di arancia
Pasta (maccheroni)
Riso bollito
Soft drink (non “diet”)
Pizza
Saccarosio
Polenta
Pane bianco
Corn-flakes
Patate bollite
Glucosio |
9
24
30-45
38
38
40-44
45-87
46-54
49
49-69
50-65
55-75
60-67
68-77
70-75
72-87
80-100
100 |